Notizie Radicali
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  mercoledì 17 maggio 2006
 Direttore: Gualtiero Vecellio
Il ministero della resa

di Alessandro Tapparini

Quando all’indomani delle elezioni si apprese che ad Emma Bonino sarebbe stato offerto di entrare nel nuovo governo Prodi in qualità di Ministro delle Politiche Comunitarie, fu sin troppo chiaro quale triste sorte si preparava per la Rosa nel Pugno nella coalizione di centrosinistra.

Il ministero per le Politiche Comunitarie è, tradizionalmente, il posto che viene rifilato a chi conta poco o nulla: il tipico ministero “senza portafoglio” (cioè senza ministero) da affidare a chi si accontenta delle briciole, o, tutt’al più, l’anticamera in cui parcheggiare provvisoriamente qualche valido esordiente disposto a cominciare da lì aspirando a collocazioni ben più rilevanti.

Nel primo governo Berlusconi del 1994 quel ministero nemmeno esisteva: c’era solo un dipartimento del ministero degli esteri, affidato su delega al sottosegretario leghista Domenico Comino.

Stessa cosa nel primo governo Prodi del 1996, dove le politiche comunitarie rimasero alla Farnesina, delegate all’allora sottosegretario Piero Fassino.

Il mini-ministero delle Politiche Comunitarie venne riesumato nel 1998 dal neopremier Massimo D’Alema, che (promovendo Fassino a Ministro del Commercio con l’Estero) offrì insistentemente quel posto proprio ad Emma Bonino, nel tentativo di “reclutare” nella traballante maggioranza di centrosinistra l’allora commissaria europea.

Ma non a caso Emma, dopo aver attentamente valutato la reale portata di quella proposta, e  dopo una trattativa che coinvolse anche Marco Pannella (“Pronto, qui parla il regime”, chiama sfottente D’Alema; “Sei il solito presuntuoso”, è la replica altrettanto caustica di Pannella - dal retroscena di Francesco Mancorda su La Stampa), rifiutò.

Dopo il rifiuto della Bonino, quel ministerino venne “girato” da D’Alema all’esordiente Enrico Letta, allora poco più che trentenne, che però ci rimase soltanto un annetto per poi essere promosso, nel rimpasto di passaggio al D’Alema-bis, ad un ministero “vero”, quello dell’Industria (alle Politiche Comunitarie gli succede Patrizia Toia).

Nel 2000, nel passaggio dal D’Alema-bis al governo Amato, il verde Edo Ronchi avrebbe dovuto essere dirottato dal ministero dell'Ambiente alle famigerate Politiche Comunitarie, ma, venendo da un ministero “vero”, rifiutò sdegnosamente quel declassamento (“le competenze di quel ministero sono obiettivamente ridotte”, sospirò eufemisticamente la allora leader dei Verdi Grazia Francescato, che alla fine, piuttosto che niente, lo pigliò piazzandoci Gianni Mattioli).

 Berlusconi nel 2001 usò le Politiche Comunitarie per mettere in lista d’attesa Rocco Buttiglione, il quale ambiva al ministero dell’Istruzione e invece si dovette accontentare di quel purgatorio per tre anni, finché tentò di divenire commissario europea e, sgambettato dalla nota polemica sulle sue posizioni anti-gay, venne risarcito con il più prestigioso ministero dei Beni Culturali, mentre alle sfigatissime Politiche Comunitarie gli subentrò Giorgio La Malfa.

 

Ecco perché i radicali avevano fatto benissimo a dichiararsi del tutto indisponibili ad un ripiegamento sulle Politiche Comunitarie: «Per Emma Bonino non prendiamo in considerazione subordinate», assicurava a fine aprile Daniele Capezzone nel confermare la richiesta del ministero della Difesa. «Non si tratta d'una richiesta negoziabile», confermava Marco Pannella il primo maggio, in vista del primo incontro ufficiale con il neopremier in pectore.

E invece, andata come è andata. Cioè male. Emma Bonino sarà ministro “agli Affari europei e commercio internazionale” (il nome del ministero viene ritoccato per simulare un po’ più di prestigio, ma la sostanza non cambia; del resto, anche nel 1998 quello proposto da D’Alema – e rifiutato da Emma – sarebbe stato ribattezzato “Ministero per l’Europa”, o roba del genere).

Spero di essere presto smentito dai fatti, ma oggi l’impressione è che accettare quel misero posto nel governo suoni peggio di una sconfitta: suona come una resa.